Interviste Alle Imprese

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Interviste Alle Imprese

Ci sono un totale di 56 interviste con le aziende. Le aziende sono state prima individuate sulla base delle informazioni fornite dai Centri per l’Impiego, dagli uffici delle confederazioni sindacali, dagli enti di formazione. Poiché è stato riscontrato in più casi che le aziende così individuate non risultavano essere state teatro di esperienze lavorative di stranieri (sebbene anch’esse, nella maggior parte dei casi, abbiano dipendenti stranieri, assunti con altre modalità), oppure non fossero disposti a rilasciare interviste sull’argomento, è stato necessario ricorrere anche a canali informali (conoscenti, indicazioni fornite dalle aziende intervistate, ecc.).
La gamma dei settori di attività e dei settori rappresentati comprende, ingegneria, distribuzione commerciale, elettromeccanica, servizi, alberghiero, edilizia, agricoltura, giardinaggio e manutenzione ambientale, pulizia, trasporti, alimentare, legno. Sono state intervistate anche una società di formazione professionale e due agenzie di lavoro interinale.
La proporzione in cui i diversi settori e settori contribuiscono alla composizione di tutte le imprese intervistate è, ovviamente, data la modalità di reperimento sopra citata, del tutto casuale.

TABELLA 1: Numero e tipo di attività delle imprese intervistate

Tipo di attività N. Aziende
Metalmeccanici 21
Elettromeccanico 2
Edificio 3
Pulizie industriali 2
Trasporto e movimenti di merci 2
Prodotti agricoli alimentari e di trasformazione 2
Legno e arredi 1
Distribuzione commerciale 8
Albergo 3
Agricolo 3
Giardinaggio e manutenzione ambientale 2
Servizi alle persone 4
Agenzie di formazione professionale e lavoro interinale 3
Totale 56
Come si osserverà in termini più dettagliati analizzando le interviste, inoltre, per quanto desumibile da tale campione, l’elemento settoriale di appartenenza non sembra determinare da solo le importanti differenze tra le valutazioni espresse dal società in relazione alle esperienze in oggetto, sia relative ai rapporti con gli sportelli, sia relative agli stage in azienda.
Qualche influenza sembra invece avere una considerazione congiunta del settore e della dimensione aziendale, ma in questa fase dell’indagine si tratta, come vedremo, di ipotesi che potrebbero tradursi in osservazioni basate solo attraverso uno studio ad hoc , lavorando su un campione comprendente, in proporzioni adeguate, anche tutte le classi dimensionali presenti nei territori presi in esame.
Queste caratteristiche non sono presentate da tutte le imprese intervistate; né – come detto – come composizione per settore (non tutti quelli presenti nelle aree su cui si è focalizzata l’indagine) né in termini di dimensione aziendale. Una sola impresa (pulizie industriali) supera le 1.000; due con 450 dipendenti (uno dei trasporti e uno dei servizi alle persone); due con 250 dipendenti (lavoratori metalmeccanici); tre con circa 100 dipendenti (due metalmeccanici e uno della distribuzione commerciale). Tutti gli altri sono sotto i 50, con un taglio che varia da 2 a 46. Inoltre, alcune interviste non forniscono questo dato, che nella maggior parte dei casi non è dovuto a errori dell’intervistatore, ma a reticenze o imprecisioni dell’intervistato (1 ).

Come già accennato, le interviste di cui stiamo parlando possono essere divise in due gruppi:
• quelli alle imprese che si sono rivelate utilizzando uno sportello per reperire almeno una parte della manodopera straniera di cui avevano bisogno;
• e quelli per le aziende che hanno riscontrato l’assunzione temporanea di lavoratori stranieri come stagisti al termine di periodi di formazione più o meno lunghi.

Il primo gruppo mostra l’intera gamma di attività elencate nella tabella 1, con le uniche eccezioni del legno e mobili e dell’alimentazione e della trasformazione dei prodotti agricoli; il secondo gruppo, invece, è molto più polarizzato: su 28 interviste, 16 riguardano imprese metalmeccaniche o elettromeccaniche, 5 società di distribuzione commerciale e 3 società di servizi alla persona.
Questa distribuzione, nonostante sia stata citata più volte, frutto di informazioni che spesso si sono rivelate inesatte, non è frutto di pura casualità. A questo proposito sembra opportuna una breve digressione. È vero, infatti, che il panorama regionale, per quanto riguarda la diffusione e la frequenza delle esperienze di lavoro nel senso pieno del termine – cioè come insieme coordinato di azioni volte a fornire al mercato del lavoro la forza lavoro necessaria curando la sua formazione o certificando le sue competenze, facilitando l’ingresso e l’inserimento, monitorando il suo percorso iniziale – non è stata riscontrata, alla prova dei fatti molto ricca. Soprattutto, è dimostrato che ad oggi, soprattutto nelle aree dove la carenza di offerta innesca flussi migratori che sembrano tutt’altro che esauriti, la stragrande maggioranza degli avvii al lavoro avviene in modo informale. Come accennato in precedenza, citando i risultati di un’altra ricerca regionale, su 1.500 lavoratori immigrati occupati intervistati nel corso del 2000, l’85% ha dichiarato di aver trovato lavoro presentandosi direttamente in azienda o tramite amici e conoscenti stranieri.

D’altronde, a conferma che non solo

a ciò contribuiscono i ritardi, lo scarso sviluppo e le carenze normative e organizzative dell’iniziativa pubblica in materia (di cui si è fatto cenno), ma anche in larga misura le valutazioni e i comportamenti delle imprese, è possibile citare dichiarazioni della stessa interviste da noi effettuate e dai commenti allegati degli intervistatori.
L’intervistatore del Piacentina e della Reggiana è incluso nel rapporto finale:

“Le esperienze lavorative per gli extracomunitari svolte attraverso “sportelli” strutturati e ufficiali risultano essere solo quelle promosse dal Centro per l’Impiego. Esistono, ovviamente, altre fonti di informazione e/o collegamento (spesso molto più efficaci delle prime, anche se nella versione “pubblica” non sono molto più efficaci). Penso, ad esempio, ai servizi forniti dalle associazioni di categoria, dai centri di ascolto volontario, dall’ufficio immigrati CGIL e dall’Anolf-CISL, che di fatto funzionano come tam-tam molto efficaci. Per non parlare del “passaparola” tra connazionali, che sembra la forma preferita non solo dagli immigrati (che hanno pochissima fiducia nei servizi pubblici italiani) ma dalle stesse aziende, perché offre maggiori garanzie di serietà”.

Allo stesso modo, scrive l’intervistatore romagnolo:
“Le aziende intervistate non sembrano prendere sul serio questo tipo di servizio e [lo sportello N.D.R.] pensano che non cambierà il loro modo di assumere: quello personale o attraverso il passaparola. (…) Ho notato che la maggior parte degli altri dipendenti (anche stranieri) aveva trovato lavoro presentandosi di persona con un colloquio o su segnalazione di un loro amico. Le aziende preferiscono, anche perché a volte considerano persone che chiedono aiuto agli sportelli vaganti o pericolosi (…)”.
Qui il riferimento (esplicito nel prosieguo della relazione locale) è ai “rischi di contenzioso” che possono sussistere se ci si rivolge ad uno sportello sindacale.
A tal proposito, racconta un agricoltore romagnolo intervistato: “Quella persona che ho avuto h[un lavoratore senegalese N.D.R.]ired mi ha dato problemi. Conosceva molto bene la legge e sai che qui non guardi sempre l’orologio”.”
Ma al di là dei motivi “negativi”, ci sono anche quelli “positivi” che portano le aziende a preferire il word-switching: sono quelli impliciti nell’espressione “maggiori garanzie di serietà” che chiude una citazione precedente. In particolare, nelle piccole imprese, rivestono un’importanza decisiva i rapporti personali, diretti e la necessità di “poter fidarsi”; utilizzare un lavoratore straniero già “esperto” come filtro per l’integrazione di altri stranieri sembra offrire una doppia garanzia: si pensa che non solo sceglierà “qualcuno che non lo sfigura davanti ai suoi superiori”, ma che anche dopo l’ingresso continuerà – per lo stesso motivo – ad esercitare un certo controllo su di lui e fungerà da mezzo in caso di problemi o incomprensioni.

Lo scopo di questa digressione è stato quello di sottolineare che l’attuale apparente deregolamentazione che sembra caratterizzare in larga misura i meccanismi di ingresso degli immigrati nel mercato del lavoro e il loro inserimento nelle imprese, se osservata più da vicino, rivela aspetti di “razionalità” che – pur evidenziando la necessità e l’urgenza di azioni più incisive e appropriate da parte della pubblica amministrazione, e in questo caso dei suoi enti locali – proprio ai fini di un corretto approccio a tali azioni – non possono essere ignorate o ignorate. né sono considerati aspetti residuali destinati ad esaurirsi spontaneamente, o giudicati unicamente in base agli aspetti discutibili che effettivamente presentano.

Riprendendo il filo del discorso: si è detto sopra che non sembra puro caso che la netta maggioranza delle aziende intervistate che hanno ospitato esperienze lavorative sotto forma di tirocini temporanei di stagisti sia composta da aziende metalmeccaniche, commerciali e di servizi alla persona.
Le spiegazioni più ovvie di questa affermazione sono, in generale, che questi sono i settori che da più tempo assorbono manodopera immigrata, e – in particolare nella nostra ricerca – oltre ad essere tra i più rappresentati nel campione, sono anche tra quelli che comprendono le aziende più grandi.
Questo insieme di circostanze sembra legittimare (pur con le cautele più volte espresse sulla relativa esiguità del campione) un’interessante ipotesi sia per una valutazione delle future prospettive operative del problema di cui ci occupiamo.
Sembra possibile pensare ai due gruppi di interviste alle imprese come significativi anche di due diverse fasi di elaborazione e maturazione, per quanto riguarda le problematiche legate all’inserimento (tutte ormai riconosciute come inevitabile soluzione) dei lavoratori stranieri.

Se dovessimo essere estremi, ci sarebbero aziende (prevalentemente piccole o piccolissime) da cui il problema è ancora percepito come una questione di maggiore o minore affidabilità delle filiali esistenti, in un’ottica che, per lo più, sembra

o essere quello della continuità di procedure e pratiche “tradizionali” di relazione con il mercato del lavoro, e che implica poca consapevolezza (se non in termini di generalizzazioni per lo più stereotipate). , o giudizi più o meno moralizzanti su individui di cui si ha esperienza diretta) delle differenze “oggettive” relative allo status di straniero migrante. Un esempio particolare di questo modo di concepire i problemi è quello dell’artigiano che si lamenta: “Mi è sempre capitato che la maggior parte dei giovani che assumevo, una volta imparato bene o male il mestiere, partisse dove pensavano di lavorare meno e guadagnare di più. Ma questi [gli immigrati N.D.R.]e sono ancora meno affidabili: da un giorno all’altro, per qualche migliaio di lire in più, scompaiono senza nemmeno avvisare. Rivolgermi allo sportello sarebbe utile se riuscissi a risolvere questo problema, perché in azienda mi occupo dei rapporti”.

Il secondo gruppo, quello intervistato sulle esperienze di stage, comprenderebbe invece le aziende dalle quali non solo si acquisisce l’inevitabilità di dover assumere stranieri in quantità proporzionalmente crescenti, ma si ha già la consapevolezza delle problematiche relazionali e gestionali connesse a questo (seppur a diversi gradi di maturazione e di esperienza pratica, come si vedrà).
Anche queste aziende sono state utilizzate e utilizzano ancora alcuni sportelli (si ha però l’impressione che preferiscano, se necessario, quelli “privati” o le agenzie di lavoro interinale, se non l’assunzione diretta, come è stato detto), ma il loro la preoccupazione principale sembra invece essere – qualunque sia la forma di integrazione del lavoratore – garantire la disponibilità di tempo e le modalità di controllo necessarie per verificare concretamente, da un lato, le competenze professionali già possedute e, dall’altro, la competenze e impegno sul lavoro, in vista di un’assunzione a tempo indeterminato.
In quest’ottica, si sono verificati casi di aziende che aiutano i neo assunti a trovare casa, o che praticano condizioni speciali per i dipendenti stranieri riguardanti – ad esempio – ferie, menù differenziati nelle mense aziendali, orari speciali in coincidenza con determinati periodi (es. Ramadan) .
Tenendo conto del quadro così delineato in termini generali, consideriamo quindi più in dettaglio i risultati dei due gruppi di interviste alle imprese.

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